Le Endrigo: Le Endrigo
Data di uscita: 16 aprile
Etichetta: Garrincha Dischi
Seppur a rilento e come sempre in colpevole ritardo rispetto agli altri Paesi, l’Italia sta muovendo dei passi significativi su argomenti importanti, come le questioni di genere e di parità. Sanremo 2021, in questo senso, è stato vincente: pensiamo per esempio alla fluidità di Madame, al queer pop de La Rappresentante di Lista o al gesto solo all’apparenza elementare di Francesca Michielin nel regalare il mazzo di fiori (originariamente a lei destinato) a Fedez, altro artista che, apparendo se stesso al 100%, ha fatto trasparire una bellissima fragilità maschile, aspetto tutt’altro che banale. Non deve quindi stupire se gli Endrigo, il 25 marzo scorso, abbiano deciso di cambiare il loro in nome in “Le Endrigo”; perché sì, come spiegato da loro stessi “Un articolo determinativo fa ancora la differenza e comporta dei privilegi, noi scegliamo di liberarcene e unirci al coro e alle battaglie di chi li vuole sradicare“. Poco meno di un mese dopo, il 16 aprile, è quindi uscito per Garrincha Dischi il nuovo album della band, dal titolo omonimo.
Un disco di elevata potenza quello della band bresciana che, arrivata alla sua terza produzione, oltre a puntare su un sound solido e soprattutto malleabile preme ancora di più l’acceleratore sulla matrice testuale, già in partenza sopra le righe e diretta, qui resa ancora più esasperata senza però risultare in nessun caso stucchevole. Dieci tracce, la maggior parte già edite, confezionate da Nicola Hyppo Roda, registrate a Donkey Studio di Medicina (Bolgona) che pongono dunque il gruppo all’interno di un territorio nuovo pur appoggiandosi su sapori a noi molto cari, tra i Fast Animals and Slow Kids ed Edda.
“E i ragazzi faranno i ragazzi, una mandria di teste di cazzo che fa Oh-oh oh-oh“, canta il gruppo in “Cose più grandi di me“, dove si esplora il ruolo del maschio e dell’identità sessuale in modo originale. Di grande impatto anche “Stare soli“, forse il passaggio più efficace del lavoro, contenente una frase che è già manifesto: “La mia debolezza è uno stile di combattimento“.
L’egocentrismo ingiustificato di chi crede di possedere le chiavi delle porte celesti solo perché è salito almeno una volta sopra un palcoscenico è invece lo spunto di riflessione che propone “Il cazzo enorme di chi suona“, una delle tante sfumature di un disco che riesce a raccontare il mondo in cui viviamo con ironia, malinconia, disperazione, rabbia non prendendosi mai eccessivamente sul serio. Una roba non da tutti.