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VOTO DISCO7
7Overall Score

Data di pubblicazione: 22 gennaio
Etichetta discografica: Cabezon Records

Grilli parlanti nella testa di Lou Mornero… Dopo l’omonimo EP di debutto del 2017 a distanza di quattro anni Lou Mornero torna con Grilli, il suo primo long play (Cabezon Records). Il cantautore milanese unisce ancora una volta le forze con il produttore Andrea Mottadelli e tra i due c’è alchimia che fa nascere un vero e proprio lavoro a quattro mani, registrato quasi interamente a distanza tra gli home studio di due artisti, corrispettivamente a Milano e Londra. Insomma, smart working iniziato ancora prima di tutto sto casino che dona all’album atmosfere intime che non colpiscono al primo ascolto ma entrano in testa pian piano come i Grilli della title track.
Premetto che leggendo la parola cantautore, soprattutto nel contesto italiano, io, cresciuta a pane e Leonard Cohen, provo sempre un misto tra curiosità e paura. Non perché gli italiani di oggi non sappiano scrivere bene, che sia chiaro (basta vedere Motta o Francesco Bianconi dei Baustelle) ma perché la scena cantautoriale di questo Paese è ormai bella satura e la maggior parte di progetti di questo taglio o muore nel dimenticatoio della banalità di brutte copie di Calcutta, o peggio, in quello della pseudo-intellettualità. Tertium non datur, o almeno molto di rado.

Nel caso di Mornero è invece una piacevole sorpresa. Il cantautore adotta un approccio più minimalista nei testi che a volte prendono forma di un ipnotico loop ripetuto all’infinito a mo’ di mantra (il brano di apertura, Grilli o anche Due), o addirittura spariscono completamente trasformando la voce in uno strumento come in Aquario. Nel primo momento quel mandare in secondo piano la parte testuale, a tratti ovattata e poco comprensibile, può anche disturbare ma è ben chiaro che si tratta di una scelta e non di un limite e questo testuale less is more funziona.
Mornero asciuga la parte testuale apposta per far esplodere quella sonora, da ispirazioni che spaziano da folk-rock, blues, prog rock e trip hop sconfinando anche in psichedelia nella finale Ouverture. Non abbandona la chitarra acustica dell’EP ma aggiunge altri strati creando così un album denso e facendosi notare come un’artista con grande cultura musicale.Si rischiava un mapazzone e invece abbiamo davanti un materiale ricco e coerente. Lou Mornero non si è inventato niente di nuovo ma risulta comunque fresco e raffinato, fuori dalle mode del momento.
È un disco variegato con momenti cupi come il più tipicamente cantautoriale Caro mio e solari come strumentale Aquario che si susseguono. Otto tracce, poco più di mezz’ora, una tappa di un viaggio, un format che non annoia e non delude.

Non sono brani immediati, radiofonici, ma nell’epoca di streaming, sinceramente, chissene frega. E non è un disco che renderà Lou Mornero famoso ma sicuramente è un disco di cui ne può essere fiero come artista.

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