Francesca Bonci, un concentrato di colori ed emozioni
“Ciao, mi chiamo Francesca e sono una artista visuale, video maker e vj“. Ricevo questa mail un mese fa, e ne resto affascinata. Non capita tutti i giorni di conoscere, anche se via email, una ragazza del genere. Perché Francesca Bonci a mio modesto parere è un’artista veramente speciale. Prima dote è il suo entusiasmo, il modo in cui si è presentata chiedendomi se volessi approfondire la sua conoscenza. Come minimo, potevo accettare questo invito perché credo che tutti dovrebbero sapere quello che combina Francesca in giro per il mondo. Soprattutto in questo mondo sempre più all’avanguardia, sempre più tecnologico e futuristico. Il suo lavoro si basa sullo studio concettuale del brano/live set/spettacolo, evento, luogo adattandolo ai diversi contesti che le vengono proposti. Lavora come artista visiva dal vivo accompagnando band o curando l’aspetto visivo di eventi e festival attraverso la manipolazione di immagini in tempo reale. Porta in giro anche il suo progetto di improvvisazione visiva su paesaggi sonori elettronici (Purple Moon Oneironauts).
Ha lavorato con diverse band alternative partecipando anche a festival alternativi in Europa. Anche come vj. Utilizza dispositivi analogici, come i sintetizzatori video e predilige l’espressione imprevedibile ed emotiva che deriva dall’interazione di strumenti di diversa natura. Non voglio aggiungere altro perché spero leggiate questa bellissima intervista. Bellissima perché ho scoperto delle cose bellissime, grazie a Francesca.
Ciao Francesca, piacere di conoscerti. Prima di tutto ti chiedo come sei approdata inquesto mondo di Visual Artist, e di spiegare cosa fai esattamente?
Ciao Eliana, piacere mio e grazie per questa intervista!
La mia formazione è di tipo classico e poi accademico. Ho frequentato progettazione multimediale e visual design all’Accademia delle Belle Arti. Ho sempre avuto una passione viscerale per la musica e tutto ciò che sta intorno ad essa. Ho passato tanto del mio tempo dentro salette di band amiche e concerti dal vivo. E quando ascolto la musica mi viene naturale immaginare colori e visioni. All’inizio facevo video per gli amici, per aiutarli a promuovere i loro progetti, poi grazie allo sviluppo di internet ho potuto avere piu visibilitá ed essere contattata anche da band straniere. Quindi ho cominciato a creare video musicali, che non erano esattamente convenzionali, nei quali inserivo disegni, piccole animazioni, filmati, materiale trovato in giro, riprese che montavo insieme in una maniera personale che si basava sulla so-vrapposizione e sulla completa disgregazione dell’immagine e concentrandomi soprattut-to sull’impatto emotivo attraverso colori, il movimento e sullo sviluppo del concept. Una volta un festival di musica post rock in Spagna mi ha invitata e proposto di accompagnaredal vivo un paio di band con le mie visioni. É stata una bellissima esperienza e mi ha datol’incentivo per provare anche quella strada. In pochi anni gli inviti e le proposte sono aumentate, prevalentemente dall’estero permettendomi di farmi conoscere, acquisire credibilità e di unire due delle mie grandi passioni, la musica e i viaggi..
Durante il Covid hai iniziato a collaborare con l’etichetta indipendente di musica elettronica Specimen Record e con Sound-Space. È questo il genere di musica che preferisci o prediligi nella scelta dei set visivi?
No, non prediligo nessun genere musicale e una delle caratteristiche principali del mio lavoro è che non rientro in un genere specifico. Come ti ho accennato ho cominciato a creare visual nell’ambito post rock perché era l’ambito piú consono a questo tipo di pratica, ma ho lavorato con ogni genere di musica e ogni tipo di band indifferentemente, mantenendo uno stile personale ed emotivo che trascendesse dalla natura del progetto. Per quello che riguarda le due etichette inglesi con le quali sto collaborando dal lock down è stato un caso che fossero legate alla musica elettronica, comunque anch’essa fortemente predisposta all’improvvisazione e alle visioni . Quello che mi ha convinto a cominciare la collaborazione erano le tematiche che uniscono gli artisti che ne fanno parte: scifi, cyberpunk, la robotica, la tecnologia, la distopia, la sperimentazione. E l’etichetta cercava qualcuno che avesse un approccio aperto e di impatto emotivo. È molto bello, ho la possibilità di curare i progetti in modo assolutamente libero e di improvvisare e sperimentare molto!
A quale forma d’arte ti ispiri o ti senti ispirata principalmente nei tuoi progetti?
Non mi ispiro a nessuna forma d’arte in particolare, perché per me é essenziale mantenereuno stile personale e riconoscibile, ma è ovvio che esso deriva da un background culturale fatto di cose che mi piacciono, dalla fantascienza di Philip K Dick o William Gibson, agli scrittori della Bit Generation, alla videoarte degli artisti legati al movimento Fluxus, al design grafico di David Carson, ma forse più da un punto di vista concettuale e di approccio artistico. Per il resto mi affido all’empatia con le persone con cui collaboro cercando di entrare nei loro concept e creando visioni che siano un prolungamento del loro lavoro. Mi nutro di esperienze, di sensazioni derivati dalle persone e dai luoghi. E li rappresento.
Progetti internazionali con cui hai collaborato?
Tantissimi. In varie parti del mondo. Lavoro soprattutto con progetti internazionali. E non saprei davvero sceglierne uno in particolare… la cosa incredibile del mio lavoro artistico è che tutte le persone con cui ho collaborato sono entrate a far parte della mia vita. Sarà che non accetto mai progetti per convenienza, ma perché li sento e mi piacciono e questo fa si che si instauri un rapporto profondo e di reciproca fiducia con le persone con cui collaboro. Loro rispettano la mia integrità artistica e mi danno la libertà e la fiducia di occuparmi della parte visiva del loro progetto. Se mancano questi presupposti o il progetto non mi arriva, non comincio nemmeno.
Ultimamente con Sound Space ho lavorato ad un brano del nuovo progetto di Anirudda Das, il bassista storico degli Asian Dub Foundation, una persona molto dolce.
Mi piacerebbe poi raccontarti questa bella storia: prima della pandemia ero in Spagna ad un festival di artisti pazzoidi norvegesi che si chiama Brucstock, in mezzo al nulla, sotto l’imponente Monserrat. Un luogo mozzafiato. Dovevo esibirmi il sabato sera con il mio progetto PMO e lo stesso giorno si doveva esibire una musicista argentina di nome INTI. Ci incontrammo nel primo pomeriggio, ci prendemmo subito e chiacchierammo per ore come se fossimo vecchie amiche. Così decidemmo di infilarci nel bosco nel pomeriggio di quello stesso giorno per filmare una suaperformance che avrei poi usato per creare un visual dal vivo la sera stessa durante la sua esibizione. Una cosa inaspettata, ma bellissima. E fu un successo. L’affinità elettiva che ti porta a creare cose inaspettate.
Parliamo anche di festival d’arte e di musica, qualche esempio?
Un paio di festival sono stai molto importanti. Il “Vivid. A post rock Festival” di Kristiansand, in Norvegia al quale ho partecipato due volte, altamente professionale e familiare allo stesso tempo, con ospiti di livello e dove mi sono trovata davvero benissimo. E il Münchner Science & Fiction Festival di Monaco di Baviera, in Germania, dove ho partecipato sempre per due volte come artista visivo residente. Molto stimolante ed innovativo. Altri due bei festival al quale ho partecipato durante il Covid sono stati il FFFB di Berlino per il quale non solo ho realizzato il trailer ufficiale, ma sono arrivata anche finalista con un mio video musicale, adattamento di un visual set dal vivo che avevo realizzato per la band tedesca Lorimer Burst. E il Ladyfest di Oslo, al quale sono stata invitata da una musicista fantastica di nome FRVLDZ, con la quale avevo collaborato in precedenza in un paio di occasioni.
Un Visual live che pensi di aver realizzato veramente bene, di cui ne vai proprio fiera?
Un bel visual set al quale mi é piaciuto molto lavorare è stato quello per l’album “MOTHER CULTURE” della band norvegese AVAST. Il concept era basato sul romanzo filosofico “Ishmael” di Daniel Quinn. Un romanzo molto interessante che descrive la civiltà moderna ed esplora i temi dell’etica, della sostenibilità e della catastrofe globale.
Parlaci anche del progetto OLH che coinvolge anche il fotografo e regista Christopher Felver…
OLH, acronimo di One Legged Heart è un progetto molto ambizioso che parte dal musicista, poeta e pittore Joe Linus, un artista a tutto tondo. È un progetto con base a San Francisco e ha come intento quello di unire in modo libero tante forme d’arte. Fin’ora abbiamo realizzato due video musicali insieme, il primo del quale è stato presentato al 4th Street Recording Studio di Santa Monica, a Los Angeles, durante la release del primo disco e il secondo era programmato uscisse in diverse cittá della California, ma è stato purtroppo presentato solo in rete a causa del Covid. Attualmente stiamo lavorando ad altri due video e il progetto si sta “espandendo” in una residenza d’arte nella quale sto curandola parte artistica.
Chris Felver, un fotografo e regista di fama mondiale specializzato in lavori sulla Bit Generation e su Lawrence Ferlinghetti, ha fatto alcune riprese del cantante per i primi due video e questi preziosi footage sono diventati materiale da manipolare e montare nei video insieme alle mie visioni. La realizzazione di questi video è caratterizzata da una ricerca meticolosa e dallo studio di ogni parte del brano come se fossero piccoli film che raccontano storie narrate dal cantante. Immagini evocative, ricordi, poesia visiva.
Ma in Italia esiste qualcuno che fa il tuo stesso lavoro?
Sicuramente esistono artisti che fanno questo tipo di lavoro in Italia, magari non in modo così versatile e ampio, o che abbiano prediletto un percorso più concettuale rispetto a quello puramente estetico. Ci sono molti bravi vj, che proiettano/mandano immagini accattivanti durante spettacoli in ambiti e luoghi ben specifici, il mapping su edifici, per esempio, è abbastanza sviluppato, ma di artisti che lavorano prettamente con la musica indipendente, alternativa in progetti internazionali, probabilmente non ce ne sono tanti. È un ambito ancora un po’ difficile da capire e spesso non ci sono proprio le condizioni per fare una proiezione nei locali. Ho notato peró che si sta sviluppando la cultura dei visuals nei teatri e nella danza. E ci sono sempre piú persone che costruiscono dispositivi handmade per la glitch art e la videoarte in generale anche in Italia, strumentazione utileper le performance dal vivo.
Mi dicevi che hai fondato anche un personale progetto, basato sull’improvvisazione,sullo studio dell’ambiente in cui si realizza la performance e sull’irripetibilità. In cosa consiste esattamente? E come ti muovi nella realizzazione di un set su improvvisazione?
Si, PURPLE MOON ONEIRONAUTS (PMO). Il progetto nasce con l’idea molto ambiziosa e folle di mettere in un determinato luogo due o più artisti, che possano esprimersi come sanno fare: dipingendo, cantando, suonando, ecc… con gli strumenti che vogliono, siano essi analogici o digitali. Dentro un flusso di un sogno, imprevedibile, unico e irripetibile. Un hic et nunc, in quel luogo particolare. L’ispirazione si verifica reciprocamente mentre cerco di rappresentare visivamente questo viaggio / sogno delirante e errante che posso mostrare attraverso diversi media. Le forme d’arte possono entrare nei miei dispositivi uscendo su un televisore a tubo catodico o proiettate su una pianta o su un muro.Il risultato é una performance di improvvisazione, imprevedibilità e irripetibilità.
Solitamente, come funziona, ti girano un pezzo e tu ci studi su, quanto tempo ti serveper “creare”?
Si. Di solito chi mi contatta per lavorare ad un progetto conosce già il mio lavoro e la miaetica. Quindi mi informa sul brano, disco, show che vorrebbe io visualizzassi e ci scambiamo le prime impressioni. Chiedo sempre cosa c’è dietro al progetto, di raccontarmi qualcosa sul concept e di condividere con me le impressioni personali. In un secondo momento, quando ho immagazzinato queste importanti informazioni che fungono da input, avvengono due fasi molto importanti: quella delle ricerche sull’argomento attraverso libri, film, immagini per lo studio profondo del concept e quella dove, con gli occhi chiusi, ascolto e lascio la mente libera di immaginare. C’è molta comunicazione e confronto tra me e i musicisti. Nonostante questo sono abbastanza veloce nel finire un progetto.
Sempre durante il lock down hai fatto una serie di sessioni chiamate “Breathing Rooms” che coinvolgono artisti e luoghi di cultura da tutto il mondo. Di cosa si tratta?
“BREATHING ROOMS” è una frase idiomatica che significa “Un tempo sufficiente per prepararsi o riprendersi dalle pressanti difficoltà di una situazione” o “Uno spazio sufficiente per adattarsi o realizzare qualcosa”.
È così che ho intitolato una serie di sessioni a distanza durante il lock down del mio per-sonale progetto visivo PMO, dove ho invitato vari ospiti tra amici e collaboratori con cui avrei dovuto fare eventi e piccoli tour, che a causa del Covid 19 non hanno potuto avere luogo. Ho chiesto loro di creare materiale inedito e improvvisare pensando al tema del sogno lucido, leitmotiv del progetto, sentendosi liberi di usare strumenti analogici o digitali e registrare un video mentre si esibivano da casa. Una volta ricevuto il materiale ho improvvisato su di esso la mia parte visiva, usando anche io strumentazione e supporti sempre diversi, in base a quello che la sessione mi suggeriva. Così il visual finale era trasmesso da una tv a tubo catodico, in un’altra proiettato sull’anta di un armadio etc…una volta montato insieme il tutto, le sessioni sono state trasmesse da luoghi di cultura di paesi diversi, così come gli artisti provenivano da paesi diversi: Turchia, Germania, Argentina, Francia, Giappone… Le sessioni hanno avuto il solo scopo di mantenerci vivi e attivi in quel momento difficile e supportare l’arte e gli artisti.
Adesso che stiamo tornando alla normalità quali saranno i tuoi prossimi obiettivi? Stiamo tornando alla normalità?
Credo che la normalità alla quale eravamo abituati non tornerà più. E credo che non dovremmo abbassare troppo la guardia. Comunque per quello che riguarda me, ho in sospeso un viaggio che mi porterá a stare qualche mese in California per portare avanti il progetto OLH in maniera piú concreta e presentare alcuni lavori. Ma se ne parlerà molto più avanti. Poi si sta parlando di evolvere la collaborazione con Sound-Space con eventi dal vivo e altri progetti musicali qui in Europa. Per quello che riguarda i miei obiettivi personali, continuare a migliorarmi come artista e persona e approfondire sempre più l’uso di strumentazione analogica.
Una cosa che tutti dovrebbero sapere di te?
Che credo visceralmente in quello che faccio e che lo scambio culturale ed emotivo tra le persone e gli artisti sia lo strumento di comprensione, integrazione e amore più potente che possediamo. Non dobbiamo mai smettere di alimentarlo.