Oasis: Knebworth 1996
Data di uscita: 19 novembre 2021
Etichetta: Big Brother
25 anni fa gli Oasis scrivevano la storia nelle 2 date di Knebworth. Il 10 e 11 agosto la band di Manchester raccolse 250.000 fans per due incredibili concerti a Knebworth, passati alla storia anche per il celebre bootleg “250.000 fans can’t be wrong”. Fu lo stesso Noel Gallagher, durante la seconda serata, a rivolgersi al pubblico dicendo “This is history, right here, right now!“, segno che già in tempo reale i 5 mancuniani si stavano rendendo conto della portata di ciò che stava accadendo.
L’apertura, dopo il nastro di “Swamp Song”, è affidata a “Columbia”, uno dei più grandi pezzi rock’n’roll mai scritti da Noel Gallagher in cui emerge tutta la graffiante ed incredibile voce di un Liam Gallagher al top della condizione. In tutti i 10 brani del primo disco non c’è un rallentamento, il ritmo è serratissimo e non dà un attimo di respiro all’ascoltatore (e allo spettatore dell’epoca). “Acquiesce”, “Some Might Say, “Supersonic” e “Morning Glory” sono solo alcune delle perle contenute nella prima parte del doppio album, tutti classici contenuti nei primi 2 album della band (“Definitely Maybe” e “(What’s The Story”?) Morning Glory”). Meravigliosa è la versione di “Slide Away”, quasi 6 minuti di commovente brit-rock in cui si tende a rallentare (ma di poco) il ritmo di un live fino a quel momento travolgente.
Il secondo disco si apre con un set acustico di 4 pezzi (“Slide Away”, “Cast No Shadow”, “Wonderwall” e The Masterplan”), con l’ultima cantata da Noel che a distanza di 25 anni fa scendere molto più di una lacrimuccia (sia nella versione studio che nelle varie versioni live è un colpo al cuore incredibile). Subito dopo questi 20 minuti in cui ci si è rilassati e commossi tornano subito le chitarre elettriche, che sostituiscono il classico pianoforte nell’intro di “Don’t Look Back In Anger”, l’inno per eccellenza uscito dalla penna di Noel Gallagher. A grande sorpresa ci fu l’esecuzione di due brani ancora non rilasciati ufficialmente e che saranno inseriti in “Be Here Now”, uscito l’anno dopo. Si sta parlando di “My Big Mouth” e “It’s Getting Better (Man!!)”, due trascinanti brani di rock acido e grintoso che non troveranno fortuna nella loro carriera live, essendo stati eseguiti pochissime altre volte negli alti 13 anni di carriera dei Fab 5. Memorabile fu l’esecuzione di “Live Forever”, quando nella parte finale apparì l’immagine a tutto schermo di John Lennon (soluzione poi riproposta a Wembley 2000 e filmata in “Familiar To Millions”). Da veri fan dei Beatles, la chiusura fu affidata ad “I Am The Walrus”, per 6 minuti e mezzo di pura estasi tipicamente british (e la cover, nemmeno a dirlo, fu eseguita in maniera eccelsa).
Queste due serate (i brani del disco sono divisi quasi a metà tra le due date) sono state raccontate anche nell’omonimo documentario diretto da Jake Scott ed uscito sia al cinema che in Dvd/Blu-ray, per un evento che ha segnato per sempre il rock made in UK. Se si vuole trovare un neo, si potrebbe citare l’assenza di “Rock’n’roll star”, brano con cui erano soliti aprire o chiudere i loro concerti, ma ci si passa volentieri sopra visto il contenuto della scaletta.
250.000 fans per due concerti della stessa band non si erano mai visti fino a quel momento e la grande affluenza fu premiata da due esibizioni esemplari di una band all’apice della loro carriera (ad esempio, a Wembley 2000 la prima data fu perfetta, la seconda andò abbastanza male per le condizioni post-hangover non ottimali di Liam). Alan, Bonehead e Guigsy qui sono ben più che semplici comprimari, nonostante saranno sostituiti pochi anni dopo hanno segnato comunque un’epoca importante nella loro partecipazione ai primi 3 lavori. Inutile nasconderci, gli Oasis hanno segnato una generazione. In Inghilterra ci fu l’exploit di caschetti ed occhiali da sole.
Con buona pace dei loro (tanti) detrattori, questo live sarà tramandato ai posteri, ed è la cosa più importante.