In memoria di Richard Benson
Con il consueto ritardo, ecco l’ennesimo ricordo su Richard Benson non richiesto da nessuno. Il rocker – termine contenitore per dire chitarrista, showman, conduttore televisivo, personaggio e vattelappesca – se ne è andato qualche giorno fa, il 9 maggio. Migliaia le dediche di fan, estimatori, personaggi del mondo dello spettacolo e cultori del trash. Tutti insieme appassionatamente, tutti insieme retoricamente. Questo articolo non sarà diverso da mille altri.
Perché è proprio la retorica il problema. Tutti a ricordarlo, piangere e commuoversi, oltre che lodare la sensibilità di questo artista che – da troppo tempo ormai – era malato e in stato di indigenza economica. Con tanto di ventata auto-consolatoria: Richard Benson è morto felice, Richard Benson è morto sereno, ultimamente l’ho visto e stava bene.
In realtà, di come stesse Richard Benson, nessuno lo sa, e a nessuno è mai importato fino al fatidico giorno. Triste ma vero. Era un meme, una macchietta. Abbiamo riso tutti di lui. Il famoso “TI DEVI SPAVENTAREEE!”, le sfuriate in televisione, gli occhiali da sole fuori contesto. La deriva “trash”, consapevole o meno non importa, ha reso Richard Benson prima celebre, poi dimenticato. Un personaggio, una caricatura, la brutta copia del cliché del metallaro anni ’80, con tanto di nome da star (era nato a Woking, in Inghilterra, benché abbia vissuto gran parte della sua vita a Roma). Era un rudere, un ricordo lontano di un’era gloriosa. Quando faceva concerti, negli ultimi tempi, la gente gli tirava il cibo e gli gridava “buffone”. E chi dice di non aver mai (sor)riso vedendo questi momenti terribili (non per l’uomo umiliato e colpito dalle uova marce, ma per il contesto grottesco in cui avveniva tutto questo) mente sapendo di mentire.
Potrei affermare che mi sono studiato la storia di Richard Benson per scrivere questo articolo, ma non sarebbe vero. A parte qualche estratto televisivo reperibile su YouTube, il singolone “I nani” prodotto dai fratelli Zampaglione, ricordo poco altro, anche se lo ricordo molto bene. E perché allora scrivere di lui? Perché, in fondo, tocca dare ragione a Valerio Lundini: “ci ha dato tanto a livello di intrattenimento e sotto ogni ambito: musicale, cultura musicale, aneddottica, etc”. Bastava vederlo o sentirlo, anche solo per un millesimo di secondo, per sperimentarne la follia e viverne il disagio. Momenti che, dal mio punto di vista, non si risolvevano (solo) nella più semplice e becera commiserazione per un perdente, un underdog, ma andavano molto più a fondo. Perché Richard Benson, il suo pubblico, lo ha sempre travolto e ipnotizzato. Richard Benson, per merito o per colpa dei suoi eccessi, è stato uno dei più grandi intrattenitori che abbia mai visto. Richard Benson va ricordato per questo.
Uno degli ultimi pezzi pubblicati su YouTube si chiama “Sfida Infinita”. Chitarra classica suonata in maniera non troppo impeccabile, Benson tira fuori una potenza vocale strabiliante, cantandoci una ballad struggente. Qui non si ride di lui, ci si commuove. “In un cielo lontano mi sono fatto gigante”, canta ad un certo punto. Riascoltandola ora non gli si può proprio dare torto.