Little Pieces of Marmelade: Bello Figo è punk
Non ce la faccio a descrivere la musica dei Little Pieces of Marmelade (in slang L.P.O.M.). Fate un favore al mondo: ascoltateveli, perdetevi nei loro suoni. Ci troverete di tutto: dal noise-rock allo shoegaze (anche se dicono che con i My Bloody Valentine non c’entrano niente), fino a momenti più semplicemente “pop”. Sicuramente, in questo Bel Paese di cantautori indie più o meno risolti, rappresentano una freschissima novità. Loro sono bravi (certificazione Manuel Agnelli, una garanzia), simpatici (tra 30 secondi lo scoprirete) e totalmente anarchici.
Il nuovo album “Ologenesi” è freschissimo d’uscita e all’ascolto mi genera un piacevole stato confusionale tale da generare seria preoccupazione in chi mi sta attorno. Ho comunque dovuto essere piuttosto lucido per mettere insieme un po’ di domande.
Qui la nostra chiacchierata.
Partiamo con un gioco: dovete spiegare ad uno sconosciuto chi siete e cosa suonate. Descrivetevi in poche parole…
Siamo due bambini che non vogliono crescere e che vogliono giocare al gioco della musica per sempre!
È uscito il 7 ottobre l’album “Ologenesi”. La prima evidenza rispetto al precedente “L.P.O.M” è il cantato, tutto in italiano. Come mai questa scelta?
Volevamo da tempo fare un disco in italiano, perché ce lo chiedevano tutti. È stata una sfida, se vuoi anche un modo di misurarci con noi stessi. Uscire dalla zona di comfort e maturare. Non è stato facile, l’italiano ha i suoi scogli. Intanto perché si capisce! Nel senso che, se l’inglese ha la sua musicalità intrinseca, quando vai a scrivere in italiano le persone sono più attente al senso compiuto. L’abbiamo superata mettendo da parte paragoni impossibili. Un conto è avere dei riferimenti, un conto è farsi mangiare dai riferimenti.
Anche l’idea di inserire come titoli dei brani “Canzone 1”, ”Canzone 2” ecc è parecchio singolare. Volete spiegarci il perché?
Volevamo rifarci alle opere della musica classica. “Sinfonia n.8”, cose di quel tipo… E un po’ anche perché non avevamo voglia di dare dei titoli ai pezzi! Eheheh scherziamo. La verità è che questo album ha avuto una lunghissima gestazione e – alla fine – quei titoli provvisori erano il modo in cui ci muovevamo tra i brani. Quando siamo arrivati sul punto di chiudere tutto, ci sembrava impossibile separarcene. Il caos è arrivato quando abbiamo iniziato a spostarli in tracklist!
Come è stato lavorare con Manuel Agnelli, che ha prodotto il vostro album?
Lavorare con Manuel è stato importantissimo per noi, ci ha trasmesso un sacco di cose e ci siamo ispirati a vicenda. Lo abbiamo detto spesso, Manuel ha questa caratteristica di essere una persona con una gigantesca curiosità, ma anche con questa straordinaria capacità di dare e trasmettere. È un Maestro naturale. Il suo lato curioso è poi la strada nella quale, se lavori con lui, sei libero di muoverti, sperimentare, osare. Un po’ è stato il segreto dei live di questa estate. La gente inizialmente scriveva sui social che eravamo una cover band degli Afterhours, a giudicare dalle canzoni che proponevamo nella setlist, con lui da solo e senza la band. Poi, man mano, si sono ricreduti, perché hanno visto che eravamo, tutti insieme, anche con Bea e Giacomo (ndr: Beatrice Antolini e Giacomo Rossetti), qualcosa di nuovo insieme a Manuel.
Vi definiscono “noise-rock”, termine contenitore che sottende tanto. È un’etichetta che vi piace o ritenete più onesto dire che fate del gran casino?
Ma guarda, oggi come oggi è utile etichettare la musica fino a un certo punto. Serve per dare un contesto agli ascoltatori (sicuramente per le categorie di Spotify), ma – insomma – a volte vedi scritto punk e ti ritrovi in un delirio di autotune e kick quantizzati. Quindi di che cosa parliamo? Oppure siamo noi non capire il termine “punk”… Vedi, per esempio Bello Figo è punk.
Comunque, esteticamente, “noise -rock” non ci dispiace, facciamolo passare.
Vi siete ritagliati un discreto successo con XFactor2020: a distanza di qualche anno confessate: vi piace il format televisivo?
Non siamo mai stati amanti della trasmissione, o dei talent in generale. È capitato. Ci hanno cercati loro, era l’anno del lockdown, per noi era l’unica via per farci conoscere, in quel momento nessuna etichetta voleva ascoltare il nostro disco e farlo uscire. Siamo arrivati in finale e faceva davvero ridere tutta la storia.
Detto ciò, ci abbiamo comunque messo due anni per far uscire l’album che hai in mano.
Per una band come noi, una trasmissione di quel tipo è deleteria. Nel breve tempo ti riempi di pubblico televisivo che nemmeno ascolta la tua musica e – di sicuro – non viene ai tuoi concerti. Questo perché ama trasmissione, non la tua musica. Ci sta, ma discograficamente è un giro a vuoto.
Ci ha dato comunque un boost della madonna e ci ha permesso di essere qui dove siamo. Quindi, saremo sempre riconoscenti verso quella trasmissione e verso tutto lo staff.
Ascoltandovi ho in mente tanti accostamenti con band non italiane (My Bloody Valentine, Jesus and Mary Chain ecc…). In Italia quale band vi ispira di più?
Grazie! I My Bloody Valentine non sono tra le nostre ispirazioni, anche se in tanti hanno paragonato Frankie a Kevin Shields! Amiamo in particolare “Isn’t Anything”.
In Italia ti diciamo: Verdena, Renato Carosone, Sangue Misto, Gang, Zu, Bello Figo. Oh, non smettiamo di pensare a un feat con Bello Figo!
Replicherete un live nei club come nel precedente disco?
Saremo in tour dal 21 ottobre per i club! Una decina di date, poi speriamo di attaccarcene altre all’inizio del nuovo anno. A noi piacerebbe calcare il palco di qualche festival, opportunità che a volte si avvicina e a volte si allontana. Un’estate per festival rock, ecco. Ce la meritiamo!