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Sanremo

Sarà un Sanremo democristiano di algoritmo e porti sicuri

Carlo Conti

Va tutto come previsto. Niente scossoni, niente rivoluzioni, niente colpi di coda. D’altronde, non poteva andare diversamente. Carlo Conti ha svelato durante l’edizione delle 13:30 del TG1 odierna la lista dei trenta Big che parteciperanno al Festival di Sanremo 2025. Una lineup che segue pedissequamente l’approccio di Amadeus, con all’interno qualche rivendicazione del triennio contiano precedente. Ma non è tutto oro quel che luccica.

Conti non solo ha semplicemente sposato la linea dell’ormai ex anchorman di RAI 1, ma anche esasperato un sistema algoritmico che rischia di far saltare tutto. Occorre tuttavia mettere tutti i pezzi del puzzle al proprio posto. Il presentatore si è trovato in una situazione quasi opposta rispetto alla sua prima esperienza. In occasione della gestione inaugurale, datata 2015, il Festival era una macchina ingolfata, caratterizzata da annate a corrente alternata.

Al tempo l’eredità raccolta era quella di Fabio Fazio, artefice di due edizioni colte e di spessore, anche se non indimenticabili complessivamente a livello musicale: nel 2013 a trionfare fu L’essenziale di Marco Mengoni, mentre nel 2014 Controvento, brano di Arisa (certamente uno dei peggiori della carriera della brava lucana). Il percepito della kermesse era diverso, spesso imbastito da polemiche e fomentato dal vento dell’antipolitica (siamo negli anni del boom dell’anticasta in salsa grillina) che ha finito per danneggiare il padrone di casa di Che tempo che fa, bersagliato insieme a Lucinina Littizzetto per i suoi compensi elevati.

Dieci anni fa c’èra quindi l’obbligo di rifondare. Un compito arduo, condotto molto bene da Conti che, non a caso, rimase al timone della kermesse per ben 3 anni, un lusso per l’era pre-Amadeus. Oggi però lo scenario è totalmente differente, perché la macchina ereditata dopo il quinquennio d’oro è pressoché perfetta. L’evento ha ritrovato centralità piena nell’industria musicale, tanto da riportare in gara alcuni mostri sacri che, tempo addietro, non avrebbero varcato mai il casello dell’A10 se non in qualità di ospiti.

Cambiare modus operandi sarebbe quindi stato stupido. Dentro i 30 big di Sanremo 2025 infatti ci sono più o meno tutti i principali dominatori delle playlist streaming nostrane, combinati con due quote old di spessore e una ristretta cerchia di artisti wild card capaci di allargare lo spettro giocando un po’ il ruolo di jolly.

Fronte streaming emerge fortissima la presenza di Tony Effe e Gaia, idoli dell’estate con Sesso e samba e in questo contesto messi (giustamente) in proprio. A questi si aggiunge Olly, quotato da mesi (dietro di lui c’è Marta Donà) e serio candidato a un posto di lusso. Non stupisce poi la selezione di Bresh (il cui nome gravita da un paio di anni), di Elodie (che dovrà fronteggiare due serate evento negli Stadi di Milano e Napoli con un nuovo album in uscita), della fortezza The Kolors e di Rose Villain, chiamati esattamente come Clara ed Irama ad un back to back dopo la partecipazione del 2024.

Poche sorprese dunque su questo fronte, anche se l’unica è rappresentata dall’ammucchiata che non ti aspetti composta dal producer Shablo con Gué, Joshua e Tormento. Non particolarmente entusiasmante invece (almeno sulla carta) la presenza di Emis Killa e di Rocco Hunt, due rapper che forse rappresentano più un hip-hop italiano che ha già cambiato pagina, e che suona quasi anacronistico in un contesto-insalatona come questo.

Lo slot della polemica (potremmo chiamarla quota Morgan se fossimo cattivi) è occupato da Fedez, personaggio che attira non pochi mormorii ovunque vada (citofonare La Zanzara e l’annosa dichiarazione sul confronto tra Schlein e Vannacci in termini di efficacia comunicativa). Le sicure sparate del milanese (che ha da poco lanciato il suo nuovo Pulp Podcast con Davide Marra) e le mille voci su possibili scazzottate con Tony Effe consentiranno alla rassegna di accendersi anzitempo, con tutti i pro e contro del caso.

La quota vintage stavolta se la prendono il gigante Massimo Ranieri, già reclutato da Ama nel 2022, e Marcella Bella, pronta a regalare tanti meme al popolo del web. Sopra la media la scelta dei cantautori, con Brunori Sas che ha confermato le indiscrezioni della vigilia e con un Lucio Corsi finalmente pronto a farsi conoscere dal grande pubblico (che dirà che sta copiando Danielle di X Factor. Li vedo già, poveri noi).

Simone Cristicchi, Willie Peyote, Coma_Cose, Francesca Michielin, Achille Lauro, Noemi e volendo anche Rkomi sono invece quegli artisti di mezzo che, per ragioni tutte differenti tra loro, sono in grado di poter catturare un pubblico variegato, distaccandosi dai rispettivi background. La tassa Amici è rappresentata dalla sola Sarah Toscano (ultima vincitrice del programma), al netto dell’imbarcata di discepoli di Maria nelle Nuove Proposte. C’è anche la tassa Modà, particolarmente congegnale per un determinato tipo di pubblico.

Occhio poi al trittico del Sanremo Giovani 2015-2016, con il coinvolgimento delle scoperte di lusso targate Conti come il già citato Irama, Francesco Gabbani e Serena Brancale (esplosa negli scorsi mesi grazie alla viralità dei suoi contenuti su Tik-Tok: Baccalà il suo brano più noto): una sorta di attestazione di credibilità che evidentemente il Direttore Artistico sente di voler sottolineare in sede dell’inevitabile confronto con Amadeus.

Ma quello che manca nella lista dei 30 big (a cui, ricordiamo, si aggiungeranno quattro cantanti che concorreranno nella sezione Giovani) è l’effetto wow. Di fatto, l’unica grande sorpresa sta nel nome della (bravissima) Joan Thiele, finalmente in corsa in un palcoscenico che può donarle una popolarità più ampia. Latitano quasi del tutto al contrario degli ultimi tre anni anche i “veri big”, tolta ovviamente di Giorgia, motivata a capitalizzare i consensi (meritati) ottenuti con X Factor, a riscattarsi per un’edizione del 2023 al di sotto delle aspettative e soprattutto a tenere alta la bandiera della qualità.

Già, la qualità. Sanremo 2025 girerà tutta intorno a questa parola. Perché ad eccezione appunto di Giorgia, di Lucio Corsi, di Brunori, di Peyote, di Elodie (di solito non ne sbaglia una, è stavolta al 100% sarà una ballad per vincere) di Brancale e di Joan Thiele (con un credito aperto su Gabbani), il resto sarà una vera e propria roulette russa fatta di algoritmo e porti sicuri. Anche l’artista di punta, in questo caso Tony Effe, seppur tentino di vendercelo come tale non ha per niente la stessa flemma artistica che avevano altri esponenti approdati in Liguria nella sua stessa posizione come Lazza, Geolier o Blanco. Tre giganti in confronto al romano.

Visti i risultati precedenti, il 95% della truppa arriverà in riviera pensando a Spotify, dunque andando a caccia della hit. E per fare una hit, come insegna la struttura della famosa canzoncina di Sergio Endrigo, ci vogliono i topliner. I topliner, si sa, sono sempre gli stessi, e spesso sono soliti a ripetere sempre le stesse formule (anche melodiche). La somma delle componenti potrebbe garantire un effetto plateau devastante, forse indigeribile se spalmato addirittura in 30 canzoni, un numero decisamente superiore rispetto al regolamento iniziale.

Con l’ampia possibilità di scelta, serviva più pepe. Format che vince non si cambia, è vero. Ma urgeva un tocco di personalità in più al fine di individuare qualche variazione sul tema utile a spezzare una solita forma ormai vicina all’usura.

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