Festi-vàl, Ep. 3: Olly lanciato sulla luna, Sarah Toscano plasir couable
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Se siete nei pressi del quartiere Latino e magari vi scoccia prendere la metropolitana per raggiungere il nord della città, NON usate il bus, in particolare la linea 38, almeno se dovete usufruire delle ultime fermate prima del capolinea Porte de La Chapelle. Da Las Ecoles a Gare du Nord è una passeggiata di salute, dopo è problematica. Una volta scesi a Ordner Marx Dormoy potreste vedere in serie: due amanti del crack che vi chiedono soldi con un barattolo raccattato rincorrendovi piegati come a volervi mordere la caviglia pronunciando cose insipegabili (all’orecchio arriva un “du du du du du” ma famo a capisse), gente stesa vicino all’asfalto, altra gente che inveisce contro chiunque (anche contro sé stessa), un tossico che si sta per togliere le mutande ripreso da una messa peggio di lui che almeno ha la decenza di dirgli un “che cazzo fai”(almeno così sembra). Wild Boys.
Come sempre capita, la divisione a due genera serate molto sbilanciate. E anche quest’anno non ha fatto eccezione, con una terza puntata fatta da pochi momenti buoni e tanti, terrificanti, quarti d’ora (specie a livello di conduzione per quel poco visto, roba da reggere solo con due bottiglie di Chablis). L’osservato speciale da qui a sabato, inutile dirlo, è Olly, da noi sempre indicato come papabile per la top 3 fin da dicembre. Ciò che colpisce è il plotone di fuoco che lo accompagna, con la sua manager, la guru Marta Donà, che sta sguinzagliando l’artiglieria pesante pur di boostare quanto più possibile il suo pupillo. Ci sono molteplici venti che soffiano tutti dalla sua parte: a partire dalla canzone, che anche se limitata ad un certo target c’è, così come il Physique Du Rôle, il fare alla Vasco e un taglio vocale particolare, accentuato dalla sua “r” moscia. In tempi in cui non vince mai solo il pezzo bensì tutto il pacchetto c’è da stare attenti.
Ascoltare Brunori ti mette invece in pace con il mondo, e qui il paragone con Simone Cristicchi è d’obbligo visto il tema famigliare, anche se ovviamente opposto a quello del collega: da una parte la vita, dall’altro la fine. A differenza dell’autore de Quando sarai vecchia, il cantautore calabrese utilizza l’arma della semplicità poetica per metterla al servizio di una vera canzone, con tutto ciò che una canzone richiede, dipanandosi in una scrittura leggera ma consapevole e volando con un ritornello delizioso, dolcissimo, ma che non è schiavo della narrazione. Una bella esibizione, una delle note positive insieme a Joan Thiele, che è un po’ una Nina Zilli più versatile, oltre che a Gaia, che ha un pezzo di fatto inutile ma ben confezionato.
Resta il mistero Noemi, alla sua ottava partecipazione con un brano ottimo ma che, ahilei, non riesce a far decollare quanto dovrebbe. Toccherebbe affrontare anche la spinosa questione Guilty Pleausure, indicando l’improbabile Sarah Toscano come detentrice del titolo. Amarcord è uno di quei pezzi di cui vergognarsi, di quelli che quando eri piccolo ed ascoltavi la musica con MP3 dovevi ri-titolare il file scrivendoci su Anime salve di Fabrizio De Andrè. Non ha senso, è trash, è già sentita, è circo. Sa essere irresistibile.
Non cresce invece Clara, anche lei come Rose Villain impegnata in una sorta di reprise dello scorso anno (sono finite le idee, andiamo male), così come Francesco Gabbani, al primo vero passo falso della sua carriera nella kermesse ma sorprendentemente in top 5. Tutti gli altri fanno il loro, ma siamo nella parte dimenticabile della storia. Ça ne casse pas trois pattes à un canard. Ci sentiamo domani con la vacca grassa, la serata delle Cover, che può ribaltare tutto. O forse no.