Festi-vàl, Ep.5: Marta Donà is the new Maria De Filippi. Vince Olly, nous perdons tous
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All’ultimo giorno, mentre la città impazzisce tra il traffico degli Champs-Élysées, tra i Navigo Pass Semaine semplici da acquistare come risolvere un astruso enigma logico-matematico, i francesi che pisciano per strada come se nulla fosse e le chilometriche file per entrare nei luoghi virali di Tik-Tok, mi accorgo che Parigi è una delle città che più somiglia al Festival di Sanremo: è imponente, fascinosa, ammaliante, attraente, ma anche piena di trappole per turisti, di locali tutti uguali. Mi piace pensare che le mille Brasserie, i milioni di Bistrot e le miliardi di Bulangerie siano proprio come le canzoni della kermesse: innumerevoli e troppo simili tra loro. L’auspicio per il futuro è che Carlo Conti – a cui va dato il merito di aver gestito benissimo un’edizione che sembrava impossibile data l’eredità di Amadeus – vista la fiducia ricevuta dall’auditel stellare, il prossimo anno possa costruire una nuova via, con meno brani e più qualità, con più sperimentazione e qualche nuova idea. Perché al netto del successo, la situazione sta sfuggendo di mano.
La vittoria di Olly, per chi ci ha seguito in questi mesi, non può essere una sorpresa. Stiamo parlando di uno degli artisti del momento, fresco di un’investitura miliardaria da parte della guru del management musicale, Marta Donà. Una figura che, ormai, può essere paragonata alla Maria De Filippi del periodo 2009-2012. Anche se qui cambiano le carte in tavola dal punto di vista qualitativo (perché l’atrocità toccata con Carta, Scanu, Emma-Modà ed Emma da sola non avrà mai eguali) e il modus operandi figlio dei tempi di oggi. Entrambe tuttavia hanno avuto la capacità di ingraziarsi ad esempio parte della stampa specializzata, che ha costruito fin dal giorno zero una narrazione che dava a prescindere il cantante come uno tra i favoriti, quando soltanto dodici mesi fa accoglieva Geolier, uno che era davvero il numero uno assoluto in termini numerici, come il solito napoletano stronzo sbucato fuori dal nulla a suon di voti rubati.
La quantità di otto, a volte anche nove in pagella dispensati dai pre-ascolti alla finale, lascia capire che c’è un problema enorme – ma non è certamente una novità – anche su certe figure che costellano il mondo giornalistico italiano. Le stesse che, di grazia, dovrebbero anche spiegare la differenza tra il brano vincitore e quello ad esempio di Bresh (La tana del granchio), la cui ricezione non è stata certamente trionfale. Ma d’altronde, è sempre bellissimo stare nel carro dei vincitori, dalla parte dei più forti, a seconda di come tira il vento.
Ma non finisce qui. I più attenti, e noi lo abbiamo rilevato proprio in questa rubrica, si saranno accorti della potenza di fuoco utilizzata da Donà per mezzo social, arrivando persino a scomodare l’account twitter dell’Empire State Building di New York, che ha pubblicato più volte su X un “Forza Olly” apparentemente innocuo. Sembra una banalità, ma a livello di percezione operazioni di questo tipo, sommate ad altre miliardi di azioni mirate (di cui un’altra artista seguita dal management, Francesca Michielin, non ha usufruito), spostano gli equilibri, e non di poco.
Si potrebbe pensare che il trionfo di quello che è al momento solo un teen idol sia stato compensato dalla presenza sul podio di addirittura due cantautori puri e provenienti “dall’altra parte della barricata” come Lucio Corsi e Brunori. Occorre però mettere i punti sulle “i”. Il toscano infatti, probabilmente inconsapevolmente, si è ritrovato al posto giusto al momento giusto, trovando la quadra anche con la tutt’altro che geniale performance insieme a Topo Gigio, altra scelta che ha sicuramente contribuito – insieme al talento cristallino ed originale che tutti conosciamo – al boost in top 3. Il calabrese invece forse è quello che se l’è giocata in modo più puro, ed è riuscito nell’intento grazie ad una bella canzone e ad un’attitude adorabile, sempre gentile, a tratti esilarante.
L’ingresso in top 5 di Fedez è invece maturato grazie al più classico effetto diesel. Entrato quasi da reietto, da mascalzone, da traditore seriale senza cuore e senza dignità, il rapper ha risalito la china serata dopo serata portando un brano con un tema molto forte e personale, in cui è emersa anche quella sincerità figlia di contraddizioni e probabilmente anche di un disturbo serio, da rispettare, soprattutto per chi commenta a mano libera sul web. Se ne va da mattatore assoluto, visto anche l’exploit di Bella Stronza sulle piattaforme.
Su Simone Cristicchi è difficile esprimere un’opinione, anche se è evidente che abbia voluto giocarsi tutte le sue carte ponendo (ovviamente non per cattiveria, ci mancherebbe altro) lo spettatore davanti ad una sorta di ricatto morale: o ti piace la mia canzone, o sei una persona senza cuore. Peccato che la sua, di canzone, abbia veramente ben poco, e il suo brano recitato (lo ripetiamo, non è Kae Tempest) che tanto piace all’orchestra (era già successo nel 2019 con Abbi cura di te) adesso si sgretolerà giorno dopo giorno, risbucando per fungere da colonna sonora a qualche RVM strappalacrime del GF o in un altro programma TV.
L’esclusione di Giorgia, incredibilmente fuori dalla top 5, conferma un andazzo già visto. Partecipare al Festival, quando sei un vero big, porta più rogne che altro, a meno che tu non abbia davvero la canzone migliore. Poi per carità, può anche capitare di non vincere (O forse sei tu di Elisa sarà sempre meglio di Brividi di Mahmood e Blanco), ma le aspettative da parte di chi guarda restano elevatissime. Così, dopo l’incolore Parole dette male, ci si aspettava qualcosa di più: La cura per me è invece un pezzo da 7, che lei rende da 10, ma che tolto il ritornello manca di intensità, di forza empatica, di un testo capace di entrare dentro le viscere. In questo caso ha poi giocato un ruolo fondamentale anche il pronostico, visto che tutti, ma davvero tutti, l’avevano indicata nel peggiore dei casi seconda dietro ad Olly. La sensazione è che sia rimasta risucchiata da qualcosa, magari da un collega che con la sua gravitazione al vertice ha fatto saltare il banco.
Sanremo 2025 sarà ricordato anche per essere stato il Festival di Achille Lauro, anche se Amore disperato avrebbe fatto sicuramente meglio al netto dell’ottima Incoscienti giovani, o quello dei divertenti Coma_Cose che saranno quelli che ne usciranno meglio a livello di airplay., Ma anche quello dell’anonimato per tanti: a partire da Elodie, che in questa settimana ha completamente perso la sua connotazione di Regina per ragioni imprecisate, passando da una davvero opaca Francesca Michielin, per Gaia e Tony Effe (dominatori dell’estate, totalmente inconsistenti in gara), fino al Rkomi, il cui hype almeno a livello nazional popolare sembra essersi davvero sgonfiato, seguendo pedissequamente la wave di un’industria musicale italiana che sta perdendo completamente credibilità, e su cui è d’obbligo una riflessione.
Riflessione che, ovviamente non si farà. Perché è più facile esultare per un 73% di share, per una prima volta in uno stadio da parte di chi non ha i numeri per poterselo permettere, per i 500 miliardi di streaming sventolati ai quattro venti che ci stanno facendo perdere il gusto anche solo di ricordare le parole di una canzone visto che il venerdì successivo ne arriva una nuova. Rimarremo così, aggrappati al turbine dell’apparenza, prima di sprofondare per sempre di nuovo nell’abisso della prima parte degli anni dieci. C’est la fin.