I nove rapper italiani più influenti della storia
Il mondo dell’hip-hop italiano è complesso. Con il boom definitivo, avvenuto ormai sei anni fa, si è verificata una vera e propria emorragia di artisti e presunti tali, pronti a salire sul carrozzone del vincitore tentando fortuna seguendo il trend di turno. In mezzo a questo marasma sono pochi i rapper che hanno davvero influenzato in modo significativo tutto il resto della scena. Su Noisecloud.it abbiamo deciso di individuarne nove, a cui si aggiungono di base ovviamente i Sangue Misto, i nostri veri padri mai abbastanza ricordati.
Sottotono
Il 2021 verrà ricordato come quello del rilancio del soul italiano; un percorso iniziato da Ghemon nel 2014 con “Orchidee“, proseguito poi nel mainstream nel 2019 da Mahmood e sancito a Sanremo 2021 con la partecipazione di ben tre esponenti del genere: il già citato Ghemon, Davide Shorty e Folcast. Spotify ha recentemente introdotto una nuova playlist ufficiale, denominata “Anima R&B“, composta da decine e decine di talenti a tinte soul. Ma da dove proviene tutto questo? Da dei pilastri del passato, come Al Castellana e, soprattutto, i Sottotono, precursori totali con vent’anni d’anticipo. I brani di Tormento e Big Fish hanno fatto scuola, sopravvivendo nel tempo e suonando, sempre e comunque, modernissimi e mai attempati. Sono tra l’altro tornati per una reunion da pochissimo tempo. E il loro ultimo singolo, “Mastroianni“, è una delizia.
Bassi Maestro
Purtroppo per noi si è rotto le palle di rappare, e forse ha fatto bene, visto il livello generale della scena decisamente abbassato e il contemporaneo grande successo riscosso con il suo nuovo progetto North Of Loreto, incentrato sulle atmosfere dancefloor anni 70-80. Perché è importante Bassi? Semplice. Perché in tutte le rime dei nostri artisti preferiti c’è una sua traccia, una sua sua influenza. L’ispiratore per eccellenza. Maestro vero.
Stokka & Mad Buddy
Da Palermo con furore, il duo siciliano ha dimostrato, esattamente come Johnny Marsiglia, quanto la provenienza e il senso di appartenenza possa fare la differenza: quando ancora i pezzi rap giravano negli mp3 a 500 mega, nei cd smazzati rigorosamente a mano, nelle cassette registrate in modo improbabile, le onde di Ghettoblaster ipnotizzavano un movimento ancora piccolissimo, di provincia, di margine, orgogliosamente contro corrente: “Più ti guardano male/più tu ti senti rappuso/Fa strano dirlo/ma è il gusto che si prova/Con il walkman a palla sul bus di giorno alla buonora“. Eccezionali.
Noyz Narcos
Il Re di Roma, forse il Re d’Italia. Noyz Narcos non poteva non presenziare in questa classifica di pochi eletti. Un rapper cinematografico, se vogliamo caligariano, mostro della tecnica e dell’incastro inaspettato che riesce sempre nel difficilissimo intento di fare “vedere” all’ascoltatore le sue rime, crudissime e pregne di riferimenti alla cultura urban ma anche a quella più rock, sciorinati ad esempio in “Non dormire“, un disco quasi metal che ha scritto pagine indelebili di storia. “Aspetta la notte“, singolo uscito nel 2015, resta una delle canzoni più belle e rappresentative del rap italiano.
Guè Pequeno
Prima dell’avvento della trap E dell’ondata degli allora “bimbi”, adesso giganti, come Sfera Ebbasta, Izi, Tedua, Ghali ed Rkomi, è stato proprio Guè a portare in Italia proprio quel fortunatissimo tipo di sonorità, più cantata e con una buona dote di autotune, già proposta in due album oramai storici: “Il ragazzo d’oro“, datato 2011, e “Bravo ragazzo“, uscito nel 2013. Ma se andiamo a scandagliare la discografia dell’ex Club Dogo, capiamo una cosa: ha sempre giocato d’anticipo; anche oggi, nel 2021, con il suo “Vita vera mixtape“, produzione filo retromane che schiaccia l’occhio al sound del passato. Presagio che, forse, stiamo proprio tornando in quella direzione.
Marracash
Uno degli esponenti del mainstream più importanti e rispettati del lotto. La peculiarità di Marra è che, rispetto ai suoi colleghi coevi, non è divisivo. O lo ami o la ami. Stiamo parlando di uno dei pochi rapper in attività a conservare ancora una certa cura per il concetto di album, fattore non banale nell’epoca dei prodotti-playlist: in questo senso, gli ultimi due lavori, “Status” e “Persona“, sono clamorosi, sofisticati, tecnici, impeccabili.
Maruego
Un attimo prima dei trapper più noti, un attimo dopo Guè, questo artista ha aperto definitivamente la strada alla trap, ai riferimenti con la cultura araba che poi saranno sdoganati definitivamente da Ghali, e a tutto quello che abbiamo sentito dopo. Maruego, di cui purtroppo si sono perse leggermente le tracce, si è fatto conoscere con “Cioccolata“, una hit semplicemente atomica, lasciando poi il segno con “Sulla stessa banca“, fotografia delle tragedie sui migranti nel periodo della traversate più drammatiche.
Massimo Pericolo
Ebbene sì. Ci prendiamo la briga di inserire anche Massimo Pericolo; nonostante la giovane età, il rapper di Gallarate ha catalizzato in un lasso di tempo molto breve una grandissima attenzione, monopolizzando le classifiche lasciando una marcatissima impronta del suo stile, diretto e tagliente, fottutamente real, impreziosito da un’estetica impattante e ricercata. “Scialla semper“, uscito nel 2019, è un vero capolavoro a tinte pasoliniane dove il rapper parla, tra le varie cose, anche del suo periodo di detenzione. Il suo ultimo album, “Solo tutto”, pubblicato lo scorso 26 febbraio, seppur non semplice è un vero pugno dello stomaco destinato a rimanere impresso a lungo.
Fabri Fibra
L’imperatore. Se oggi parliamo di Rap italiano è soltanto grazie a lui (e a Mondomarcio). Colui che ha scavato il tunnel per poi far entrare tutti gli altri con due album di incredibile significato, “Tradimento” (uno dei titoli più geniali della storia che ha segna la rottura con l’underground) e “Bugiardo“. Se a questi due aggiungiamo i masterpiece precedenti, l’incredibile, violentissimo e surreale “Mr simpatia” e l’iconico “Turbe giovanili” viene fuori il quadro dell’artista perfetto, abilissimo nel descrivere sensazioni complicate in sole due barre. Nonostante non siano mancati gli scivoloni, Fibra ha il merito di aver sdoganato anche una certa attitude editoriale presa in prestito dall’America, ovvero quella di essere malleabili, pop nel giusto in alcuni casi (vedi per esempio le collaborazioni) ma ficcanti e inaccessibili in altri (pensiamo all’incompreso “Squallor“). Un genio, non solo artistico.