GRAMMY AWARDS: 11 CANZONI SOTTO LA DOCCIA
I Grammy Awards sono una tradizione pop. Per dirla all’italiana, il “Sanremo” degli Stati Uniti. Non tanto per la competizione in sé, quanto più per l’hype che questo evento si trascina dietro (almeno per chi vive entro i confini di Los Angeles). Quest’anno giungono alla 65sima edizione (Sanremo è più vecchiotto, tra poco arriverà a quota 73: del resto, “nessuno batte il maestro”).
Come ogni cosa oltreoceano che non sia un colpo di stato, una guerra o un mondiale di calcio, dei Grammy Awards tendiamo a sbattercene altamente. Ma quest’anno ci sentiamo in buona e abbiamo ascoltato e recensito gli 11 brani che concorrono nella categoria “Canzone dell’anno” ai Grammy Awards 2023.
Una precisazione: esistono molte altre categorie (“Miglior album”, “Miglior nuovo artista”, “Miglior disco rock”, ecc…), che, tuttavia, non prenderemo minimamente in considerazione. Troppo impegnativo, a meno che qualcuno non mi paghi un volo andata e ritorno per la California. Lì – davvero – potrei pensare di appassionarmi a questa fantasmagorica kermesse che batte bandiera stelle e strisce.
Gli 11 brani, usciti quasi tutti nel 2022, saranno valutati, da un minimo di 1 ad un massimo di 5, sulla base di tre parametri estremamente tecnici: piacevolezza come sottofondo da doccia, quanto sono politicamente scorretti (perché il politicamente corretto, qualunque cosa sia, è noioso e banale) e sulla base della loro capacità di cambiare il mondo, essere cioè intergenerazionali. Quest’ultimo punto – ovviamente – non lo si può prevedere, senza la magia di una palla di vetro. Ma chi se ne frega. Questa rubrica non ha pretese scientifiche e si fonda, con un certo orgoglio, sul cattivo gusto e sulla miopia.
Scaldati i motori, possiamo cominciare.
ABCDEFU – Gayle
“Fuck You and your mom and sister and your job”. Be’, un pezzo che comincia così non può che essere una prelibatezza. Gayle se la prende con qualcuno, forse l’ex, ma poco importa. “ABCDEFU” è il miglior manuale per mandare a quel paese la gente che non ci piace. La canzone è piuttosto fantascientifica, nel senso che la realtà è un’altra. Chi ci sta sul cazzo ce lo ritroviamo a cena, a lavoro e in famiglia. Mi spiace, Gayle, ma la tua canzone non ci libera. Ci esaspera ancor di più.
Sottofondo da doccia: 4/5
Quanto è politically incorrect: 2/5
Quanto cambierà il mondo: 1/5
About Damn Time – Lizzo
Oh, ma magari lo vincesse lei il Grammy! Lizzo, con “About Damn Time”, potrebbe svoltarci le nostre docce mattutine con un pezzo molto funky e molto orecchiabile, fatto di bassi pulsanti, chitarre elettriche e un cantato molto “a la Pharrell Williams”. Sullo sfondo, che è anche primo piano, un atteggiamento body positive, come da (sua) tradizione. La realtà è più cinica di così e i messaggi di speranza finiranno in qualche bottiglia in mezzo all’oceano. Ma tanto vale che lei ci provi comunque.
Sottofondo da doccia: 5/5
Quanto è politically incorrect: 2/5
Quanto cambierà il mondo: 2/5
All Too Well (10 Minute Version) – Taylor Swift
Un’epopea, quella di “All Too Well”. Siamo nell’ambito dei 10 minuti di durata. Convertito nell’unità di misura di questo articolo, significa una bella doccia rilassante con tanto di shampoo tonificante. Taylor Swift è particolare, non sta simpatica a tutti, ad ogni album le piace giocare con svariati generi, personalizzarli a proprio piacere. Oggi fa il country, domani il rock, ma tutto sempre dentro il perimetro di un pop iper-prodotto. Il pezzo, di per sé, scorre pure bene. Ma le differenze rispetto alla “Taylor Version”, cioè la stessa canzone ma 5 minuti in meno, si fermano alla durata. Constatato che si poteva fare tutto nella metà del tempo, sono ancora più perplesso circa le ragioni per cui questa canzone esiste ed è candidata ai Grammy.
Sottofondo da doccia: 4/5
Quanto è politically incorrect: 1/5
Quanto cambierà il mondo: 2/5
As It Was – Harry Styles
Ne è passata di acqua sotto i ponti, rispetto ai fasti degli One Direction. Una brillante carriera solista, un ruolo da (quasi) protagonista in Dunkirk, Harry Styles nella vita ha fatto praticamente tutto. “As It Was” è il pezzo più “pop” tra quelli nominati a questi Grammy. Riff di chitarra accattivante, testi nostalgici, una confezione luccicante, “As It Was” è un po’ ruffiano, ma perfetto per tutti i box doccia di tutti i formati. Chi vuole trovarci più di questo, probabilmente rimarrà deluso.
Sottofondo da doccia: 4/5
Quanto è politically incorrect: 1/5
Quanto cambierà il mondo: 1/5
Bad Habit – Steve Lacy
“Bad Habit” è piaciuta a tutti, ma proprio a tutti. Prodotta bene, facile all’ascolto, con un testo – improntato su temi sentimentali – abbastanza interessante. Eppure, nel quadro insieme, sembra mancare qualcosa. Come se sotto quella patina coloratissima si nascondesse della muffa. Questa canzone cambia se ascoltata dentro e fuori dalla doccia. Sarà una questione di acustica generale, non saprei. Il falsetto di Steve Lacy, se non accompagnato dallo scroscio prodotto dal getto d’acqua del soffione, diventa un po’ fastidioso. Con queste premesse, difficile anche solo immaginare che “Bad Habit” possa cambiare il mondo. Ma forse mi sbaglio.
Sottofondo da doccia: 3/5
Quanto è politically incorrect: 1/5
Quanto cambierà il mondo: 1/5
BREAK MY SOUL – Beyoncè
Ho letto su Wikipedia che la rivista Rolling Stone ha inserito “BREAK MY SOUL” nella lista delle migliori canzoni dance di tutti i tempi. Come al solito, esageratissimi. Certo è che Beyoncè, che dalla copertina dell’ultimo album si mostra con non eccessiva sobrietà su un cavallo luccicante in succinti abiti tribali, rappresenta un megafono molto importante per la comunicazione di problematiche legate ad ansie e nevrosi di questa generazione di scoppiati in cui mi colloco anch’io. Premessa doverosa per dire che il pezzo è comunque tamarro e su questo non ci piove.
Sottofondo da doccia: 3/5
Quanto è politically incorrect: 3/5
Quanto cambierà il mondo: 3/5
Easy On Me – Adele
Ricordo un tempo, non troppo lontano, in cui mi piaceva Adele. Probabilmente era durante il Governo Monti. Adele ha circa trent’anni, ma musicalmente è in piena crisi di mezza età. “Easy On me” non aggiunge nulla, non emana nulla, non propone nulla. È un pezzo pop cantato bene (anzi benissimo) da una delle voci più dirompenti dei primi anni ’10. Noi siamo andati avanti, lei continua a fare le stesse canzoni, come se le lancette dell’orologio si fossero inceppate. Sarò banale, ma Adele è più da bagno caldo che da doccia. E se proprio devo ascoltarmi qualcosa, scelgo le sempreverdi “Rolling in the Deep” o “Skyfall”.
Sottofondo da doccia: 2/5
Quanto è politically incorrect: 1/5
Quanto cambierà il mondo: 1/5
GOD DID – DJ Khaled, Rick Ross, Lil Wayne, Jay-Z, John Legend, Fridayy
Me lo immagino, il gruppo Whatsapp dove DJ Khaled e tutta la crew che sta dietro a “GOD DID” si scambiano gif brutte e si spalleggiano vicendevolmente, complimentandosi dell’ottimo lavoro fatto. Ma questa canzone, di magniloquente, ha solo la durata di 8 minuti, che è quella di una doccia rapida in quelle mattina in cui si ha fretta di andare a lavoro. Altra nota è il ritornello, con quella voce artefatta e tanto pomposa da essere quasi trash. Il brano si poggia poi sugli interventi dei super ospiti, più o meno riusciti. In sintesi, una goliardata. Niente di più, niente di meno.
Sottofondo da doccia: 4/5
Quanto è politically incorrect: 1/5
Quanto cambierà il mondo: 1/5
The Heart Part 5 – Kendrick Lamar
E chi meglio di Kendrick Lamar per rinfrescarci la memoria circa le precarie condizioni di vita negli USA, quando sei senza soldi e per di più nero? È una cosa che fanno (e hanno fatto) tutti i rapper, quella del racconto della vita da strada, dell’autobiografia, del “prima” del loro successo. Ma lui, coi suoi testi asciutti, poesia che sembra prosa, letteralmente un articolo di cronaca infarcita di slang, riesce a mostrarci l’angolo non ancora esplorato, la prospettiva non ancora colta. A suo modo originale, abbastanza scorretto, ma non consiglio ascolto superficiale in doccia: troppo verboso, non si capisce niente.
Sottofondo da doccia: 3/5
Quanto è politically incorrect: 4/5
Quanto cambierà il mondo: 2/5
Just Like That – Bonnie Raitt
Vera e propria outsider di questa edizione, Bonnie Raitt, che in Italia non conosce nessuno, ci propone, chitarra acustica alla mano, un pezzo pop folk dall’atmosfera vintage e il ritornello Na, na, na, na, na. Il brano, malinconico come pochi, parla del dolore connesso alla perdita, infondendo tuttavia un senso di speranza: la vita, anche quando termina, resta nelle azioni compiute e nella memoria delle persone che ci circondano e ci ricordano. Inspiegabile la nomination in questa competizione che premia più il mainstream, ma non posso che dirmi che soddisfatto di questa scelta.
Sottofondo da doccia: 3/5
Quanto è politically incorrect: 2/5
Quanto cambierà il mondo: 2/5