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Interviste

CARLO VALENTE: OGGI LE PAROLE NON CONTANO PIù

Carlo Valente è un giovane cantautore reatino. Il 6 marzo, per l’etichetta TotoSound, è uscito il suo nuovo album “Metri Quadrati”. In questo disco, l’artista si mette a nudo e dà vita a un lavoro nato dalle macerie (interiori) del Covid-19, in un momento della vita in cui tutto si ferma, il tempo come lo spazio. E se da una parte piombare nel nichilismo sembra la scelta più facile, convertire quel malessere in musica è stata la reazione necessaria (e terapeutica) a questo difficile periodo storico.

Abbiamo parlato di questo (e di molto altro) in questa intervista.

Dicci in due parole chi è Carlo Valente.

Un ragazzone di un metro e ottantatré che poteva/doveva fare il geometra, ma che si è ritrovato a scrivere canzoni.

“Metri Quadrati” è il tuo nuovo album. Raccontaci come è nato.

Un disco con una gestazione di 3 anni. Difficile e complicato già nella sua genesi. Portato a termine nel momento più duro della mia via, la quarantena. Nel 2020 avrei dovuto inciderlo sotto un altro nome, con un’altra veste e con molti più slanci positivi e ottimistici, poi è arrivato il buio e lì mi sono dovuto orientare con i fiammiferi. Oggi, dopo l’uscita, ho capito che quei fiammiferi in verità erano lampadine.

Nel singolo “Mentre Qualcuno nasce a Belgrado” canti “abbi cura del punto più lontano in cui non sei mai stato”. Qual è il tuo punto più lontano?

Lo dico con una frase di una canzone di un cantautore che amo: “Io sto bene quando sto lontano da me” (Niccolò Fabi, ndr).

Ecco, mi sono accorto col tempo di essermi occupato molto poco di me, adesso sto recuperando. Dedico tanto tempo agli altri, ascolto, aiuto, ci sono. Sono quello che nelle foto si mette dietro a tutti, delle volte addirittura quello che le scatta, ma non per vergogna o imbarazzo, perché la felicità degli altri fa felice me (citando un altro cantautore milanese).

Tornando alla canzone… I nostri punti più lontani sono quelli a cui dovremmo pensare, sono tutti quei problemi dei quali non vogliamo occuparci, ad esempio l’ambiente.

“Muori per me su questi metri quadrati”. Raccontaci come la quarantena ti ha dato l’ispirazione in un momento in cui molti artisti non sono riusciti ad andare avanti.

“Muori per me o ci vediamo domani”.

Morire o vivere non faceva differenza. I minuti come millimetri, ogni secondo un dolore e un’eternità. Quel pezzo è una catarsi, è mostrare le vene, è raccontare le noie più recondite. In quarantena il lavoro dello scrittore è diventato lavoro d’ufficio. Ho capito che l’ispirazione è una boiata. Questo mestiere è un lavoro serio, ed è una lotta continua, è un continuo morire e poi rinascere. Le parole sono importanti. Oggi le parole non contano più, o ci leggiamo solo quelle che ci fanno comodo e non ci creano troppi pensieri.

Hai in programma un tour di presentazione del disco?

Il 28 aprile presenterò il disco all’Asino che vola a Roma. Ci sarà tutta la band e sarà davvero una bella festa con ospiti e sorprese. Poi, da giugno, si parte in tour, ovunque, per chi mi vorrà. Sono felice.

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